Ultima cosa di cui un governo italiano altamente indebitato e sclerotico ha bisogno ora è un’altra recessione economica e tassi di interesse ancora più alti che non faranno altro che peggiorare le finanze pubbliche del paese.
Il Parlamento europeo ha dato il via libera al nuovo Patto di stabilità, un accordo sofferto e controverso che metterà a dura prova la capacità dell’Italia di risanare la spesa e ridurre il debito. Obiettivi importanti non solo per evitare di incappare in nuove procedure di infrazione per eccesso di debito e di deficit, ma soprattutto per liberare dalla morsa degli interessi risorse pubbliche preziose per lo sviluppo e la ripresa economica del Paese.
La domanda è se l’Italia sarà in grado di “sostenere” lo sforzo richiesto dal Patto, o se gli impegni imposti all’Italia siano in realtà insostenibili, soprattutto in un quadro di incertezza economica e geopolitica come questa.
Non è un caso, infatti, se sia la maggioranza di governo di centro-destra sia il partito democratico si siano astenuti dal voto sul Patto (il M5S ha votato contro), rinnegando di fatto l’accordo politico raggiunto in sede europea dal ministro dell’Economia Giorgetti: il timore di firmare la “condanna” del Paese sembra aver aperto gli occhi sia la maggioranza di centrodestra che l’opposizione di centrosinistra.
Una paura bipartisan che ha radici più che concrete: nella situazione attuale dei conti pubblici e di stagnazione economica, il rischio dell’Italia e’ non solo quello di mancare gli obiettivi di riduzione del debito , ma anche di cadere nella trappola delle procedure di infrazione.
Secondo gli impegni del nuovo Patto, in particolare, l’Italia dovrà portare il proprio rapporto tra debito e Pil al 90% dal 138% attuale, riducendo il surplus dell’1% ogni anno in un massimo di 4 anni e di tempistiche (quattro anni, ma estensibili a sette dopo il negoziato con Bruxelles e la presentazione di un piano di riforme), oltre alla creazione di un buffer di spesa precauzionale per rispondere a possibili shock (chi non supera il tetto del deficit/PIL del 3% dovrà comunque ridurlo, per creare un buffer dell’1,5% per non mettere sotto pressione i conti), il cofinanziamento nazionale non computato negli squilibri di bilancio per tutto ciò che è spesa prioritaria (doppia transizione verde e digitale e difesa), la possibilità di deviazione in caso di circostanze eccezionali.
Sulla carta, sembra già una missione impossibile. E soprattutto pericola per tutti. E’ chiaro infatti che il deterioramento dei fondamentali economici del paese potrebbe avere conseguenze considerevoli per l’Europa, gli Stati Uniti e i mercati finanziari mondiali, dal momento che l’Italia ha un’economia e un mercato dei titoli di Stato che è circa 10 volte più grande di quello della Grecia.
Il marcato deterioramento dei fondamentali del debito pubblico e’ reso evidente dal potenziale aumento dei pagamenti per il servizio del debito. Non è solo il fatto che, con quasi il 140% del PIL, il debito pubblico italiano oggi è circa 15 punti percentuali del PIL più alto rispetto al momento della crisi del debito sovrano italiano del 2012; è che, grazie all’inasprimento della politica monetaria della Banca Centrale Europea (BCE) per combattere l’inflazione, i rendimenti dei titoli italiani a 10 anni sono aumentati da meno dell’1% nel 2021 a circa il 4% di oggi. Non solo.
Secondo gli ultimi dati di Eurostat, l’Italia ha un rapporto Deficit/PIL 2023 al 7,4% ed un debito pubblico pari al 137,3% del PIL, cifre insostenibili per la Commissione europea, che deciderà nelle prossime settimane se avviare o meno procedure per deficit e eccessivo contro il Paese.
Il problema, insomma, e’ che Con gli attuali rendimenti dei titoli di Stato, la prospettiva che l’Italia possa uscire dal peso del suo debito appare debole.
Ciò è particolarmente vero se si considera la triste performance di crescita economica del paese in passato, sottolineata dal fatto che il reddito pro capite italiano oggi è poco cambiato rispetto al livello di circa 15 anni fa. Inoltre, non aiuta il fatto che sembri che l’Italia presto seguirà la Germania nella recessione economica a causa dell’inasprimento della politica monetaria della BCE.
Un altro importante cambiamento in peggio davanti al quale i mercati sembrano chiudere un occhio è il passaggio della BCE da una politica di allentamento quantitativo aggressivo a una di restrizione quantitativa. Ciò significa la fine della precedente politica della BCE di acquistare la totalità del governo italiano come parte importante della sua politica di allentamento quantitativo. Limita inoltre la probabilità di acquisti su larga scala di obbligazioni italiane da parte della BCE, salvo un’impennata disordinata dei rendimenti dei titoli italiani.
D’ora in poi, il governo italiano dovrà soddisfare la maggior parte del suo fabbisogno di prestito dal mercato, molto probabilmente a un costo del tasso di interesse più elevato.
Ad offuscare ulteriormente le prospettive delle obbligazioni italiane è il comportamento irregolare del governo italiano di centro-destra sotto la guida di Giorgia Meloni. Questo comportamento si è già evidenziato con la proposta sconsiderata di un’imposta sugli “extra-profitti” delle banche e da una serie di riforme economiche ostili al mercato.
Ciò difficilmente ispira fiducia nella capacità del governo italiano di promuovere la crescita economica o di affrontare una potenziale crisi del debito, visto che proprio il governo italiano ha deciso di non ratificare il cosiddetto Mes, il nuovo meccanismo europeo di stabilità finanziaria.
Ciò non vuol dire che l’Italia vada necessariamente incontro a una crisi del debito sovrano. Ma bisogna dire che la BCE deve stare molto attenta a evitare un eccessivo intervento della politica monetaria nel suo tentativo di riprendere il controllo dell’inflazione. L’ultima cosa di cui un governo italiano altamente indebitato e sclerotico ha bisogno ora è un’altra recessione economica e tassi di interesse ancora più alti che non faranno altro che peggiorare le finanze pubbliche del paese.